Salvo d’Acquisto e il martirio d’amore
Salvo d’Acquisto: la vita e le passioni
Nato a Napoli, il 15 ottobre del 1920, era il primogenito di cinque figli di una famiglia profondamente cristiana, suo padre Salvatore era siciliano, la madre Ines Marignetti napoletana. In casa d’Acquisto viveva anche la nonna Erminia che, ogni sera, alle otto precise, recitava il Rosario insieme agli inquilini del palazzo. Frequentò parte delle elementari e delle ginnasiali alle scuole dei Salesiani. I professori lo ricordarono riservato, prudente e di poche parole, i compagni invece ne avevano di lui la memoria di un ragazzo altruista, caritatevole e difensore dei più deboli. Nei momenti liberi amava giocare a pallone e nuotare nel mare di Mergellina. Frequentò anche il Conservatorio, aveva, infatti, una bella voce baritonale.
Giovanissimo, il 15 agosto del 1939, decise di arruolarsi nell’Arma dei Carabinieri, frequentando la Scuola Allievi fino al gennaio del 1940. Partito per la Libia, come volontario, con la 608° Sezione dei Carabinieri, vi restò fin a quando, dopo essere rimasto ferito ad una gamba, contrasse una febbre malarica. Il 13 settembre del 1942 (dopo due anni di missione) frequentò la Scuola Allievi Sottufficiali Carabinieri di Firenze divenendo, il 15 dicembre, sottufficiale col grado di vicebrigabiere. Dopo solo una settimana, il 22 dicembre, raggiunse la stazione dei Carabinieri di Torrimpietra (oggi frazione di Fiumicino), zona rurale extraurbana a poche decine di chilometri da Roma, dove avvenne la vicenda che ne segnò le gesta e la morte.
Il sacrificio di Salvo d’Acquisto
Il 22 settembre del 1943, alcuni soldati tedeschi, accampati in località Torre di Palidoro, mentre ispezionavano delle casse di munizione, lasciate dalle Fiamme Gialle, furono investiti dall’esplosione di una bomba a mano. Due soldati morirono e altri due rimasero feriti. Il comandate del reparto tedesco ritenne che l’accaduto fosse da attribuire ad anonimi attentatori locali e chiese la collaborazione dei Carabinieri della stazione di Torrimpietra, che, in quel tempo, per l’assenza del maresciallo, era momentaneamente comandata dal Vicebrigadiere Salvo d’Acquisto.
Il 23 settembre del 1943 squadre armate di SS. effettuarono dei rastrellamenti catturando 22 uomini, scelti a caso tra gli abitanti della zona. Gli ufficiali tedeschi minacciarono di uccidere, per rappresaglia, tutti gli ostaggi, ai sensi di un’ordinanza emanata dal feldmarescciallo Kesserling. Anche il vicebrigadiere D’Acquisto fu prelevato, a forza, dalla caserma e condotto nella piazza principale del paese, insieme agli altri ostaggi.
Più volte interrogati si dichiararono, ovviamente, innocenti. D’Acquisto più volte ribadì che non potevano essere trovati dei colpevoli e che l’esplosione era da ritenere accidentale. Gli ostaggi, tuttavia, vennero trasferiti fuori dal paese, nella località Torre di Palidoro e furono costretti a scavare una grande fossa comune, che doveva servire ad accoglierne i corpi. Dopo diverse ore, quando le operazioni di scavo furono concluse, fu chiaro che le SS. avrebbero messo in atto il loro intento e che, tutti, sarebbero stati fucilati in rappresaglia della morte dei due tedeschi.
Secondo la testimonianza di Angelo Amadio (uno dei 22 ostaggi, che i tedeschi avevano trattenuto ritenendolo un carabiniere): “all’ultimo momento, però, contro ogni nostra aspettativa, fummo tutti rilasciati eccetto il vicebrigadiere D’Acquisto. […] Ci eravamo già rassegnati al nostro destino, quando il sottufficiale parlamentò con un ufficiale tedesco a mezzo dell’interprete. Cosa disse il d’Acquisto all’ufficiale in parola non c’è dato di conoscere. Sta di fatto che dopo poco fummo tutti rilasciati: io fui l’ultimo ad allontanarmi da detta località”.
Era evidente che il vicebrigadiere Salvo d’Acquisto, per ottenere la liberazione dei rastrellati, si era autoaccusato dell’attentato addossandosi ogni responsabilità. Angelo Amadio, mentre si allontanava dal luogo, sentì il grido “Viva l’Italia” seguito da una scarica di un’arma automatica. Amadio fermò, in quel momento, la sua corsa verso la libertà e vide un graduato tedesco che si avvicinava al corpo per esplodere un ulteriore colpo. I soldati tedeschi ricoprirono il corpo con il terriccio. Una testimone oculare della vicenda, la sig.ra Wanda Baglioni, riferì che i soldati tedeschi le avevano detto: “Il vostro Brigadiere è morto da eroe. Impassibile anche di fronte alla morte”, la stessa donna raccontò che, durante il rastrellamento iniziale, Salvo d’Acquisto era tenuto separato dagli altri e sotto stretta sorveglianza e “quantunque malmenato e a volta anche bastonato dai suoi guardiani, il d’Acquisto serbò un contegno calmo e dignitoso“.
Salvo D’Acquisto non aveva ancora compiuto i 23 anni quando decise nella libertà vera, quella dell’amore, di offrire la sua vita per salvare 22 fratelli.
Se muoio per altri cento, rinasco altre cento volte: Dio è con me e io non ho paura!
Processo di Beatificazione e luogo di “culto”
Il Vicebrigadiere Salvo d’Acquisto fu insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione: “Esempio luminoso d’altruismo, spinto fino alla suprema rinuncia della vita, sul luogo stesso del supplizio, dove, per barbara rappresaglia, era stato condotto dalle orde naziste insieme a 22 ostaggi civili del territorio della sua stazione, pure essi innocenti, non esitava a dichiararsi unico responsabile di un presunto attentato contro le forze armate tedesche. Affrontava così — da solo — impavido la morte, imponendosi al rispetto dei suoi stessi carnefici e scrivendo una nuova pagina indelebile di purissimo eroismo nella storia gloriosa dell’Arma”.
Nel 1983, Sua Ecc.za Mons. Gaetano Bonicelli, annunciò l’apertura, presso l’Ordinariato militare, della Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Salvo d’Acquisto. Il processo canonico, aperto il 4 novembre del 1983, si concluse il 25 novembre del 1991 con la successiva trasmissione degli atti alla Congregazione per le Cause dei Santi. In quella circostanza l’Arcivescovo Ordinario Militare Sua Ecc.za Giovanni Marra disse: “Il sacrificio di Salvo D’Acquisto nasce non solo dall’amore verso la Patria e dalla fedeltà alle sue responsabilità di Carabiniere, ma anche e nello stesso tempo da una concezione della vita, fondata in quella fede cristiana cui la famiglia e la scuola lo avevano educato, che gli ha dato, in quell’estremo momento, la necessaria energia spirituale e la forza morale per testimoniare, col suo olocausto, in un supremo gesto di carità, l’amore di Dio e l’amore dei fratelli”.
La sua figura fu ricordata anche da San Giovanni Paolo II che, in un discorso ai Carabinieri, del 26 febbraio del 2001, ebbe a dire: “La storia dell’Arma dei Carabinieri dimostra che si può raggiungere la vetta della santità nell’adempimento fedele e generoso dei doveri del proprio stato. Penso, qui, al vostro collega, il vice-brigadiere Salvo D’Acquisto, medaglia d’oro al valore militare, del quale è in corso la causa di beatificazione”.
Le spoglie mortali del vicebrigadiere Salvo D’Acquisto furono riportate nella sua Napoli e sono custodite nella prima cappella sinistra della Basilica di Santa Chiara.
Giovanni Russo
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