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Berardo, Otone, Pietro, Accursio e Adiuto: la storia dei cinque protomartiri francescani

Berardo, Otone, Pietro, Accursio e Adiuto: la storia dei cinque protomartiri francescani
La Missione sotto l’auspicio di San Francesco

San Francesco d’Assisi, fondatore dell’ordine minoritico, spinto dalla necessità di dover organizzare l’ordine in province, provvide ad inviare dei missionari in tutte le principali nazioni. Nella Pentecoste del 1219 diede licenza al sacerdote Otone, al suddiacono Berardo ed ai conversi Vitale, Pietro, Accursio e Adiuto, di recarsi in Marocco a predicare il Vangelo ai saraceni. Il Serafico Francesco, invece, optò per la Palestina, desideroso di visitare i luoghi santi della cristianità.

Il lungo viaggio dei sei frati

Giunti nel regno d’Aragona, i frati continuarono il cammino sotto la guida di Berardo. Vitale, capo della spedizione, si era ammalato e non era nelle condizioni fisiche per poter proseguire. Arrivati a Coimbra, in Portogallo, i cinque frati incontrarono la regina Urraca, moglie di Alfonso II. Riposatisi del lungo viaggio, nel convento di Alemquer, ottennero degli abiti civili dall’Infanta Sancha, sorella del re.  L’Infanta riteneva che, in quel modo, avrebbero svolto, con maggior facilità,  l’apostolato tra gli infedeli. Partiti per Siviglia, capitale del re dei mori, si indirizzarono verso la più vicina moschea e iniziarono la loro opera di evangelizzazione. Non intimoriti dalle percosse ricevute si diressero, poi, al palazzo del re. Il Sovrano, dopo averli ascoltati, appena ebbe udito qualificare Maometto come un falso profeta li fece arrestare e rinchiudere in un’oscura prigione. Il figlio del re cercò di intercedere per i frati, ricordando al padre che sarebbe stato troppo rigoroso farli decapitare senza un’apposita sentenza. Il Re, quindi, convocato il Tribunale e venuto a conoscenza del loro desiderio di partire per l’Africa, permise ai frati di proseguire per il Marocco. L’Infante Don Pietro Fernando, fratello del re Alfonso II, desideroso di ammirare la corte di Miramolino, si aggiunse ai cinque frati come loro compagno di viaggio.

In cinque arrivano in Marocco e testimoniano la Fede in Cristo

Appena giunti in Marocco, Berardo, conoscitore della lingua locale, riprese a predicare la fede cristiana criticando Maometto e il Corano. Il re Miramolino decise di allontanarli dalla città e rimandarli nelle terre cristiane. I cinque, invece, appena liberati, fecero ritorno in città predicando nella pubblica piazza. Miramolino, venutolo a sapere, decise di farli gettare in una fossa. Il Re si era convinto che occorreva farli morie di  fame e di stenti ma essi, rimasti tre settimane nel pieno digiuno, furono estratti dalla fossa addirittura in condizioni migliori. Miramolino, rimasto meravigliato del “prodigio”, dispose che fossero rimandati in Spagna, ma i cinque, riusciti nuovamente a fuggire, ritornarono a predicare. Don Pietro Fernando, infante di Portogallo, preoccupato che il loro zelo potesse pregiudicare ed arrecare danno anche alla vita dei cristiani che erano parte del suo seguito, tenne i frati sotto stretta sorveglianza nella sua residenza. Berardo continuava imperterrito con i suoi compagni l’evangelizzazione. Il re Miramolino, dopo averli sottoposti a flagellazione, decise di farli nuovamente imprigionare. Infine, stanco della situazione che andava complicandosi, decise di lasciarli al tormento della plebe, affinché pagassero le ingiurie fatte a Maometto.

Il martirio dei primi cinque santi della famiglia francescana

La plebe, mossa da odio, dopo averli flagellati ai crocicchi delle strade, li trascinò sopra pezzi di vetro e cocci di vasi rotti. Sulle loro piaghe versarono, poi, sale e aceto misti ad olio bollente. I cinque frati, tuttavia, sopportarono il dolore, forti dell’amore che volevano dimostrare per il loro unico Dio. Miramolino, attratto dalla loro grande fede, cercò di convincerli ad abbracciare l’Islam, promettendogli ricchezze, onori e ogni sorta di piaceri, gli offrì anche cinque giovani ragazze, che avrebbero potuto accettare come mogli. I frati continuarono ad esaltare e preferire la religione cristiana. Il Re, sentitosi ulteriormente offeso, preso dall’ira, impugnò la sua scimitarra e decapitò i cinque confessori della fede, era il 16 gennaio del 1220, presso Marrakech, in Marocco. Nello stesso istante, l’Infanta Sancha, che era raccolta in preghiera, vide apparire le cinque anime Beate, che ormai salivano al cielo. I loro Santi Corpi e le teste furono gettati al di fuori del palazzo reale, trascinati per le vie della città tra le urla festanti del popolo e esposti sopra un letamaio. Furono dati, poi, come cibo per cani e uccelli (secondo altre fonti si cercò di bruciarli). Dopo alcuni giorni i cristiani poterono recuperare quel che restava dei corpi dei frati e li portarono nella residenza di Don Pietro Fernando. L’Infante fece realizzare due casse d’argento: nella più piccola fece riporre le teste; nella più grande i corpi. Le due casse furono riportate in Portogallo e deposte nella Chiesa di Santa Croce di Coimbra, dove tuttora sono conservate e venerate. San Francesco, saputa la notizia, esclamò: 

“Ora posso dire che ho veramente cinque Frati Minori”

La Canonizzazione dei cinque protomartiri francescani

Il sommo pontefice Sisto IV, nel 1481, solennemente canonizzò i cinque frati. Il titolo di “protomartiri francescani” ricorda che, nella famiglia francescana, sono i primi ad aver testimoniato la Fede con il martirio. Il Martyrologium Romanum li ricorda il giorno 16 gennaio, anniversario del glorioso martirio e loro memoria liturgica. Come già detto i resti mortali dei cinque Santi sono conservati a Coimbra. In Italia il principale luogo di culto è il Santuario di Sant’Antonio di Terni (Umbria) dove sono conservate alcune loro reliquie.

Curiosità

Venerando i sacri resti dei cinque protomartiri francescani, che rientravano dal Marocco per essere portati a Coimbra, don Fernando Martino di Buglione si decise a lasciare i Canonici Regolari di Sant’Agostino di quella città. Iniziò il cammino di povertà, castità e obbedienza nei frati minori. Quel giovane sacerdote fu conosciuto, nella famiglia francescana, con il nome di frate Antonio da Lisbona:  oggi è Sant’Antonio di Padova. Un così grande Santo è stato donato alla Chiesa Universale per mezzo del sangue di quei cinque protomartiri. 

                                                                                                               Giovanni Russo