Origini della camorra e i codici dell’epoca: i “Capintesta” e le loro regole
Origini della camorra e i codici dell’epoca: i “Capintesta” e le loro regole
di Antonio Cerbone
Origini della camorra. Relativamente alle faccende di criminalità organizzata, Afragola non ha mai avuto lo stesso risalto mediatico di città come Giugliano, Torre Annunziata, Casal di Principe, Marano, Nola o la stessa Napoli.
In Campania, nell’800, si assiste all’epopea della “Bella Società Riformata”, ossia un’organizzazione verticistica legata da un codice d’onore, il “Frieno”, che fu redatto nel 1842 da Francesco Scorticelli, un camorrista dell’epoca.
Tale codice dettava le regole e la “morale” dell’organizzazione, che in un primo tempo “non accettava ladri e cornuti”, per poi corrompersi fino al punto di arrivare a colpire alla schiena.
Al vertice dell’organizzazione vi era il “capintesta”, uomo che doveva essere dotato di enorme coraggio, coadiuvato da diversi “capintriti” (quelli oggi definiremmo luogotenenti) collocati al comando dei diversi quartieri.
Origini della camorra: tra i capintesta si ricorda Salvatore De Crescenzo
Tra i maggiori capintesta si ricordano Salvatore De Crescenzo, protagonista dell’inciucio con Liborio Romano (assoluto protagonista della strategia politica che avrebbe favorito il mantenimento dell’ordine nell’ex regno borbonico) e Francesco (Ciccio) Cappuccio.
In quel periodo era Napoli il centro principale del crimine organizzato, che pur agendo con durezza, non era caratterizzato dalla strage.
Pasquale Squitieri, in un’intervista, raccontò il suo ricordo di Luigi Campoluongo, il famoso “naso di cane”, “il sindaco del Rione Sanità”, figura che poi ispirò Eduardo De Filippo per la sceneggiatura della famosa opera teatrale facente parte de “La cantata dei giorni dispari”.
“La camorra che ho conosciuto da ragazzo, era una camorra che rispettava la vita. L’uomo di camorra doveva dimostrare il proprio coraggio.Si faceva la “zumpata” che era un duello, in cui la vittoria si otteneva con lo sfregio, non con la vita dell’altro. C’era un grande rispetto per la vita, e c’era un grande rispetto per il coraggio. La mafia sparava nella schiena, la camorra no. La camorra affrontava perchè era spagnolesca.”
Il passaggio culturale verso il crimine militarmente ed economicamente organizzato, inteso come associazione che agisce su larga scala (traffici di droga, di armi, appalti, estorsioni) si ha con l’arrivo di Lucky Luciano, che ebbe molta cura di non inimicarsi figure criminali di una determinata estrazione di valori.
Tornando ad Afragola, il primo personaggio che risulta meritevole di una determinata attenzione è un certo Gennaro Ibello, commerciante di vini, che risultava essere nella banda di Enrico Alfano a cavallo degli ultimi anni dell’800 e inizio ‘900.
Fu coinvolto dalle accuse del pentito di camorra Abbatemaggio, nel processo Cuocolo, Ibello frequentava la trattoria “Mimì a mare” presso Torre del Greco, e in quella zona fu ritrovato il cadavere di Gennaro Cuocolo.
Fu incarcerato, ma la mancanza di riscontri oggettivi lo rimisero in libertà. Egli, stando alla testimonianza dello scrittore Gigi Di Fiore ( come riportato anche nel suo libro La camorra e le sue storie) aveva precedenti per usura e concorso in omicidio nel 1886.
Siamo agli inizi del ‘900, Afragola sembra coinvolta solo in senso lato da queste vicende. Ci vorranno oltre 60 anni per vedere nelle cronache afragolesi nomi come Giugliano, Magliulo, Moccia, Nco e Nuova Famiglia. Ma sarà tutt’altro contesto.