
La solitudine dei giovani: un’inadeguatezza silenziosa in una società esigente

I ragazzi di oggi sono isole che non si vedono. Stanno lì, a un passo, ma lontani, con parole corte e sguardi che sfuggono. Ognuno chiuso nel proprio angolo, dietro schermi che brillano, che dovrebbero unire e invece tagliano. Non si parlano davvero, non si cercano. È un silenzio che li avvolge, che li tiene fermi. La loro stanza chiusa è una prigione di domande. Hanno paura di non essere abbastanza, di mostrare quello che sono. E restano lì, con un bisogno che non esce, un vuoto che li mangia piano. I social sono un tribunale silenzioso, dove ogni immagine, ogni parola viene pesata e giudicata. È in questo spazio virtuale che i ragazzi imparano presto a reprimere ciò che davvero sentono. Le emozioni autentiche diventano qualcosa di estraneo, inadatto alla condivisione; la fragilità una vergogna segreta da nascondere. E così l’inadeguatezza cresce, silenziosa, perché la realtà non riesce mai a essere all’altezza della finzione online. Bisogna osservarli questi silenzi, smettere di correrci sopra. Lasciare la perfezione, prendere quello che trema, quello che è vero. Ma ci sono silenzi che diventano abissi, dai quali alcuni ragazzi non tornano più. Perché dietro certi sorrisi forzati c’è una disperazione muta, nascosta così bene da sembrare inesistente, finché non esplode tragicamente, lasciando un vuoto ancora più grande, una domanda che nessuno ha avuto il coraggio di fare. I suicidi dei giovani sono il grido estremo di chi non ha fatto in tempo a chiedere aiuto, di chi non ha visto una via d’uscita dalla pressione di una vita che sembra sempre troppo grande da affrontare da soli.