Giovanni Palatucci: ci vogliono impedire di fare quello che il cuore e la nostra religione ci dettano
I primi anni di Giovanni: studi e lavoro
Nato a Montella (Av) il 31 maggio del 1909 Giovanni era figlio di Felice e Angelina Molinari. Dopo i primi studi, presso il ginnasio Dionisio Pascucci di Pietradefusi e il liceo classico Pietro Giannone a Benevento, consegue la maturità a Salerno nel 1928. Nel 1930 svolge il servizio militare a Moncalieri come allievo ufficiale di complemento e, nel 1932, si laurea in giurisprudenza all’Università di Torino con una interessante tesi sul rapporto di casualità nel diritto penale. Rientrato a Montella comunica la sua scelta: non vuole fare l’avvocato ma, anzi, vuole essere poliziotto per poter servire chi ha più bisogno.
mi è impossibile domandare soldi a chi ha bisogno del mio patrocinio per avere giustizia
La vita da poliziotto
Nel 1936 Giovanni realizza il suo desiderio entrando nella Polizia e, al termine del corso per Allievo Commissario, viene affidato alla Squadra Mobile della Questura di Genova. Vi resta poco tempo perché il suo fare schietto, e la voglia di poter aiutare i cittadini, lo spinge ad attaccare la Questura per l’eccesso di burocratizzazione e l’inerzia di alcuni colleghi. Informazioni che vengono rilanciate su un quotidiano locale. L’indagine avviata dal Questore si conclude con l’accusa di essere il “mandante” di quella fuga di notizie. Viene richiesto ed ottenuto il suo trasferimento alla Questura di Fiume, che in quegli anni era il confine territoriale italiano. A Fiume gli viene affidato il delicato compito di Commissario dell’Ufficio stranieri. Giovanni deve “schedare” coloro che attraversano il confine per entrare o uscire dall’Italia.
Le leggi razziali
Con la promulgazione delle leggi razziali Giovanni è chiamato a individuare e fermare gli ebrei. Palatucci decide, nuovamente, di dare precedenza alla legge di Dio e, guidato dalla Provvidenza, escogita, all’interno della Questura, dei modi per poter aiutare coloro che stanno soffrendo a motivo della razza e che, a causa del nazifascismo, si trovano a dover lasciare l’Italia. Si procura passaporti falsi e per salvarli dalla deportazione li smista nei campi di internamento (campi di raccolta) dell’Italia meridionale, in particolare a Campagna dove lo zio, padre Giuseppe Maria, è divenuto vescovo. Palatucci arriva a nascondere gli ebrei anche nella soffitta della Questura e, personalmente, li sfama.
L’arresto per “intelligenza con il nemico”
La difesa della vita umana, che per Giovanni Palatucci diventa un’appassionata sfida al nazifascismo, lo spinge a rinunciare ad un amore per una ragazza ebrea (che pur gli chiese di mettersi in salvo in Svizzera) e a promozioni che gli venivano proposte con il trasferimento in altre zone d’Italia (gli fu indicata la sede di Caserta). Con l’armistizio di Cassabile e la nascita della Repubblica Sociale Italiana il Questore lascia Fiume e Giovanni si ritrova a reggere la Questura. La zona era sotto il controllo del Terzo Reich, che estese a quella parte d’Italia “la soluzione finale del problema ebraico”. Giovanni è costretto ad intrattenere rapporti con i nazisti: vieta, agli uffici comunali, il rilascio di certificati anagrafici, in modo da avere notizia diretta dei rastrellamenti che i tedeschi intendevano organizzare. L’aiuto che Giovanni da agli ebrei, facendo fuggire le famiglie ricercate dai nazisti, non passa inosservato. I tedeschi, a seguito di una perquisizione nella sua abitazione, ritrovano dei documenti compromettenti (un piano denominato “Fiume città libera”, da consegnare agli anglo-americani). Lo arrestano, nel settembre del 1944, con l’accusa di “intelligenza con il nemico” e lo conducono alla risiera di San Sabba a Triste. La risiera era un luogo di detenzione, tortura ed eliminazione di prigionieri sospettati di attività sovversiva nei confronti del regime nazista. Il campo di Trieste è stato l’unico esempio di lager nazista in Italia.
La deportazione in Germania e la morte
Il Tribunale costituito nella risiera lo condanna alla pena capitale che, poi, gli viene commutata con la deportazione al campo di concentramento di Dachau in Germania. Nell’ottobre viene condotto al campo di lavoro forzato e gli viene tatuata la matricola 117826. Il 10 febbraio del 1945, ad appena due mesi dalla liberazione, Giovanni Palatucci muore, contagiato dal tifo petacchiale che si era diffuso nel campo. Il corpo non è stato più trovato perché gettato nelle fossi comuni.
Vogliono farci credere che il cuore sia solo un muscolo e ci vogliono impedire di fare quello che il cuore e la nostra religione ci dettano
I riconoscimenti
Nel corso degli anni Giovanni Palatucci è stato ricordato, in diversi modi, da ebrei e italiani. Nel 1953 gli è stata intitolata una strada nella città di Ramat Gan, con 36 alberi, uno per ciascun anno della sua vita. Gli è stata dedicata, poi, una foresta fuori Gerusalemme e ha ricevuto la medaglia d’oro dall’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, infine, nel 1990 lo Yad Vashem lo ha inserito nel memoriale dei “Giusti tra le nazioni”. Cinque anni dopo, nel 1995, il Presidente della Repubblica italiana gli ha assegnato la Medaglia d’oro al merito civile. Nel 2000 San Giovanni Paolo II, nel corso di una celebrazione per il Giubileo, ha annoverato Giovanni Palatucci tra i martiri del XX secolo. Dopo due anni, nella diocesi di Roma, è stato aperto anche il processo di beatificazione e canonizzazione. Numerose sono, poi, le strade, scuole e caserme della Polizia che gli sono state dedicate.
A favore o contro: gli storici si dividono. Fu tutto falso?
Nel 2013 il Centro Primo Levi di New York, in base allo studio di 700 documenti, ha descritto Giovanni Palatucci come un gerarca fascista, esecutore della deportazione di almeno 412 ebrei. Per il Centro la deportazione e morte a Dachau sarebbe dovuta ai contatti che Giovanni ebbe col servizio informativo nemico. Il mito del Questore Giusto sarebbe stato fomentato dallo zio vescovo Giuseppe Maria. Anna Pizzuti, curatrice del database degli ebrei stranieri internati in Italia, ha sostenuto che è impossibile che Palatucci abbia salvato migliaia di ebrei. Quelli che inviò nel campo di Campagna, secondo le sue ricerche, erano appena quaranta e un terzo del gruppo finì comunque ad Auschwitz.
In favore di Giovanni hanno testimoniato, invece, diverse persone: l’ultima è stata l’anziana Renata Conforty che, nel 2013, ha ricordato che i genitori furono tratti in salvo proprio dal questore reggente di Fiume. La storica Anna Foa ha invitato il Centro Primo Levi a prendere in considerazione e non tacere sulle numerose testimonianze di salvataggi individuali rilasciate dagli stessi ebrei. Inoltre ha ritenuto una “ovvietà” la mancanza di documentazione scritta perchè le operazioni attuate da Palatucci erano tutte segrete, quindi non lasciava alcuna traccia.
L’Archivio Palatucci e la Biblioteca Landolfo Caracciolo
Presso la Biblioteca Fra Landolfo Caracciolo del complesso monumentale di San Lorenzo maggiore in Napoli è conservato l’Archivio Palatucci. Centinaia di documenti, lettere, foto e oggetti personali, raccolti dal vescovo di Campagna Giuseppe Maria. Dall’Archivio spuntano diverse storie di ebrei e le prove che il pontefice Pio XII intervenne inviando consistenti aiuti economici. Presso la medesima Biblioteca, dal dicembre 2018, è stata inaugurata la prima Escape room dedicata al mondo dei beni culturali. Con un viaggio nel tempo sarà possibile ripercorrere quattro eventi importanti. L’ultimo secolo, ambientato nel campo di concentramento di Dachau, ricorda il Giusto tra le nazioni Giovanni Palatucci. I volontari della onlus provvedono, al termine del gioco, a narrare la vita di Giovanni e dare ulteriori informazioni sulla sua vicenda storica e personale. Il contributo richiesto per la partecipazione all’Escape sarà destinato per la realizzazione di una “biblioteca digitale per l’Africa”. Per maggiori informazioni e prenotazioni potete visitale la pagina Facebook San Lorenzo Escape – Napoli oppure telefonare o inviare un messaggio whatsapp al numero 333 712 6015
Giovanni Russo